In ricordo di Franco Battiato

“Battiato era uno sciamano, un mistico amante della vita”. Intervista a Pietrangelo Buttafuoco

“Era spassosissimo, profondamente dionisiaco, allegro, brillante. Mistico? Il mistico vero è colui che afferra la vita, la ama e se ne fa carico”

Fonte Huffpost

GETTY/ANSA
Franco Battiato

“Sapevamo che stava male, ma è un dolore, perché parafrasando Segnali di Vita è un pezzo di vita che se ne va con lui. Resta la fragranza, l’essenza, l’assenza che si fa presenza”. Raggiungiamo Pietrangelo Buttafuoco al telefono. Giornalista, scrittore, conterraneo, amico e grande estimatore di Franco Battiato, è in viaggio verso la sua terra, che è anche quella del grande cantautore scomparso questa mattina all’età di 76 anni, per salutarlo. “Preferisco parlare dell’artista, più che dell’amico”, ci dice subito, perché “certe personalità hanno un’impronta e una potenza tale d’arte da essere presente nella vita di un’epoca, di tante generazioni. Sarebbe come mettersi davanti a qualcun altro”.

Ci racconta, nel corso della lunga e commossa conversazione, del grande artista, della sua poetica, del suo rapporto con la religione, della sacralità della sua opera, dunque; ma l’emozione tradisce ben presto la promessa che ci eravamo fatti all’inizio. O forse a ben guardare non c’è modo, come ci dice Buttafuoco, di scindere e separare le sfaccettature del meraviglioso prisma che Battiato rappresentava. “Franco Battiato è un prisma le cui sfaccettature variano dalla erudizione, all’essoterico, all’esoterico, alla ricreazione, all’umorismo e a una straordinaria capacità dionisiaca. E’ molto bello arrivare a Battiato, ad esempio, tramite le parodia che ne fa Fiorello. Questa è la potenza del suo segno artistico. Lui entrava di diritto nelle stanze immacolate dei più specchiati conservatori, così come nelle automobili dei tassisti che si sganasciavano dalle risate ascoltando Fiorello che lo imitava. Gli euclidei affidati a Fiorello davano un esito dadaista. E Franco Battiato ha realizzato questo miracolo”.

Il miracolo di raggiungere tutti.

“Esattamente. Mentre attraverso la strada, guardo intorno a me gli apecar con carichi di frutta e penso che hanno famigliarità con Battiato. Allo stesso modo se va a Salisburgo, l’orchestra ha familiarità con Battiato. E’ il suo miracolo: mettere insieme mondi lontanissimi”.

Che artista è Battiato?

“Ha un’originalità rispetto ai tanti musicisti, ai tanti artisti, ai protagonisti del nostro immaginario: l’unico ad aver attraversato la nostra epoca ed aver proposto una dimensione profondamente religiosa, non confessionale. Il senso del trascendente in lui è stato da sempre una costante attraverso la quale ha dato possibilità a tanti di alzare gli occhi verso il cielo. La sua opera è stata molto più efficace e forte di mille prediche. Ha avuto la capacità di saper decifrare il lascito sapientale della storia dell’uomo in formule musicali semplici e immediate. In un certo senso ha avuto la funzione che nella tradizione dell’arte medioevale avevano le icone: aprire il cielo verso la terra”.

Quali canzoni meglio interpretano questo messaggio?

“Tantissime. Penso a E ti vengo a cercare: molte delle sue canzoni che a un orecchio distratto possono sembrare sentimentali in realtà sono preghiere. E ti vengo a cercare è un sentiero. O anche L’Ombra della Luce che è in assoluto la più bella delle preghiere. “Riportami nelle zone più alte, In uno dei tuoi regni di quiete”, recita. Ed è perfetta per lui, in questo suo transito, perché dice ”è tempo di lasciare questo ciclo di vite”. E poi c’è il senso dell’abbandono al misericordioso perché dice “non abbandonarmi mai, non mi abbandonare mai”. Una preghiera sublime, struggente, commovente perché si radica nel profondo affetto: “Dei più lievi aneliti del cuore. Sono solo l’ombra della luce”.

Battiato era profondamente legato alla Sicilia, alle sue origini

“Aveva un’idea dell’abitare che era una dimensione dell’universale. La Sicilia è il luogo universale per eccellenza, perché quando si viaggia, e questo lo insegnava lui, quando ci si trova a distanze incredibili, a Baghdad, come in Siberia, come nelle Americhe molto spesso le persone che incontriamo sono il nostro vicino, il nostro cugino, il nostro compare. Riconosciamo nei volti qualcosa che è profondamente famigliare. La sua non è mai stata una dimensione di cortile o provinciale, ma è stata sempre universale. Il calarsi nell’essenza della Sicilia non ha mai avuto una connotazione di paese, ma quel senso universale di stare nel mondo: sono radici che contemporaneamente diventano cielo”.

Come è arrivato a questa grandezza? A questa profonda conoscenza dell’altro? A questa poetica raffinata?

“Credo sia stato fondamentale per lui lo studio: ha saputo mettere in parallelo Karlheinz Stockhausen per quel che riguarda l’attraversare il pentagramma, le partiture e poi dall’altro lato l’incontro con personalità di grande spessore sconosciute ai più, il primo dei quali è Gurdjieff, autore tra le altre cose di “Incontri con uomini straordinari”.

Quale è stato l’apporto di queste conoscenze?

“Lo ha portato ad alzare lo sguardo. Poi non dimentichiamo che la ricerca di Franco Battiato si lascia alle spalle gli anni ’70. Lui ha vissuto profondamente Milano, ha avuto la possibilità di confrontarsi ed ascoltare i più straordinari esploratori dell’arte e della musica, i grandi gruppi quali erano gli Area. In quella Milano ci ha vissuto immerso totalmente. Ha avuto una compagnia eterogena, amicizie speciali quali sono state quelle con Ombretta Colli e Giorgio Gaber: una dimensione che ha acceso in lui la curiosità e capacità di assorbire i vari spunti. Accanto a questo c’è stato l’incontro con lo studio, la lettura. I grandi della Sapienza: sia quella a noi quasi contemporanea, sia quella dei grandi maestri. Le confraternite Sufi, Rumi, la grande tradizione presocratica che è quella greca. Se ci soffermiamo su moltissimi suoi testi troviamo riferimenti. Accanto a un platano (Scherzo in minore): sappiamo che il “platano” è Platone. Testi in cui riluce la lettura del Fedro, riluce Eraclito, riluce in lui tutto un mondo che non corrisponde poi a quello che è lo scientismo razionalista ottuso e chiuso, di una faciloneria conformista”.

La ricerca storica e filosofica a cui fa riferimento nei suoi testi, lo sfondo culturale di cui lei stesso ci sta parlando, probabilmente non è stato compreso da tutti quelli che lo amano. Eppure è arrivato al cuore di milioni di persone in egual modo. Come se lo spiega?

“Con la tecnica della paideia, della formazione dell’antica scuola: ci sono due livelli, uno esoterico e uno essoterico. Quello essoterico è quello della doxa, quello che arriva a tutti, e in “es un sentimento nuevo che mi tiene alta la vita” ha una freschezza che attraversa gli anni, può essere accolto oggi, come poteva essere ascoltato negli anni ’80 e ancora indietro. Poi ci sono degli spunti, segnali ben precisi dove lui apre degli squarci e quello è il livello esoterico. Non c’è niente di male: è un binario dove in parallelo camminano qualcosa che va al cuore di tutti nell’immediatezza e qualcosa che resta, nidifica e fruttifera qualcosa altro. In Franco Battiato c’è una dimensione che fa scuola perché lui è erede a se stesso”.

Dove lo possiamo iscrivere?

“Si avventura in ambiti delicatissimi, persino pericolosi nel confronto. Penso a certe sue incursioni nella grande canzone napoletana. Era de maggio deve avere una certa delicatezza, una certa fragranza che solo la grande tradizione della canzone napoletana può avere eppure lui sperimentando è riuscito senza far inorridire i palati raffinatissimi dei napoletani giustamente severi sul loro repertorio. Lo ha fatto anche facendo incursioni nell’Opera, nella Sinfonica, sempre con quella sua leggerezza bambina che gli consentiva di essere un punto di vista tutto suo da cui gli altri non possono che attingere”.

E’ stato un artista scomodo?

“Risultava odioso e antipatico a chi cercava di radicarsi in una sorta di chiesa occidentalista. Gli rinfacciavano tante cose. L’impronta sacrale, sacrissima, di religio, nel senso proprio di religione, è invisa a molti i quali ritengono tutto ciò una paccottiglia di superstizioni. Era inviso agli adoratori dello scontro di civiltà. Lui ha aperto alla consapevolezza dell’Islam molte persone: conosco moltissimi che tramite lui sono arrivati a questa consapevolezza. Se l’italiano medio sa chi sono i dervisci lo deve a Battiato. Era uno conoscitore della Sapienza, della Sacralità. E la Sapienza non ha una geografia”.

Quale era l’impronta religiosa a cui faceva riferimento?

Era incardinato in una visione sacra della vita. Non è confessionale, non c’è nessuna confessione a cui ricondursi in lui. In lui convivono Bernardo da Chiaravalle, come Rumi, come tutta la grande tradizione, il cosiddetto pensiero dell’origine. Ma è normale perché la tradizione sono raggi di una stessa luce.

Come si traduceva nella vita concreta questa sua visione sacrale?

Nel suo essere un artista. Un artista è sacerdote di per sé, è sciamano di per sé. Un artista è colui che riesce a farsi tramite del trascendente. Lo esprime attraverso i gioielli della sua opera. Se le capita di ascoltare Luna Indiana, percepisce perfettamente l’atmosfera dello schiudersi. E’ stata costruita sulla struttura di un celebre poema della tradizione persiana. Ossia la storia di un usignolo che incontra un bocciolo di rosa e se ne innamora. Gli vola intorno, con il suo canto celebra il desiderio, la passione, lo struggimento e il bocciolo ricambia schiudendosi sempre di più, facendosi rosa. E sempre di più Rosa, ebbra di questo canto, perde i petali fino a svanire. Tutti noi diremmo “il fiore è morto”. Invece l’usignolo ne è la fragranza, è l’essenza: questo in un certo senso è quello che ci ha lasciato adesso Franco Battiato, la fragranza, l’essenza, un’assenza che è diventata presenza.

Sappiamo molto dell’artista e poco dell’uomo. Che tipo era?

Era spassosissimo, profondamente dionisiaco, allegro, brillante. Si divertiva un mondo su questo equivoco per cui il “mistico” è soprattutto un “mastico”. Il mistico vero è colui che afferra la vita, la ama, e se ne fa carico. Si divertiva, sperimentava su se stesso i segni, i linguaggi. Anche le contraddizioni: “Non suonerò mai più con una batteria alle spalle” e poi invece si incuriosiva ancora una volta delle percussioni. E poi aveva anche la generosità, che insegnava a tutti gli artisti siciliani che, infatti, hanno sempre avuto un rapporto corale e chiassoso, di complicità. Chi gioca in serie A ha un obbligo morale che è quello di avvicinarsi agli spalti, sollevare la rete e fare entrare tutti.

Importantissimi anche alcuni suoi storici sodalizi

Quello antico, forte è quello con Elisabetta Sgarbi: la rosa della Milanesiana è la rosa di Franco Battiato. Poi il sodalizio con Manlio Sgalambro, che è stato il nostro Eraclito, un filosofo presocratico a tutti gli effetti. Con Manlio Sgalambro sono nati veri capolavori. Era bellissimo vederli sul palcoscenico: quello più istrione era il Professore. Una coppia di una complicità straordinaria. Avevano i tempi comici di Totò e Peppino. Si divertivano come pazzi, erano due bambinoni nel recitare queste parti in commedia. Ricordo la gag di quando Sgalambro faceva una domanda e Battiato replicava dicendo “Manlio vuole dire…”, ma ripeteva la stessa cosa.

Ride di gusto…

Sì, perché erano spassosissimi. Battiato era poi il capocomico di musicisti, tecnici. Ogni tournèe era un caravanserraglio.

Ci racconta una persona molto lontana da quel che appariva: riservato, timido, quasi un eletto, difficile da avvicinare..

Deve considerare i due livelli. Era rimasto il ragazzo di paese, ma aveva questa qualità: era universale, conosceva il mondo, viaggiava. Poteva stare contemporaneamente in un bivacco nel deserto a prendere il the con i beduino, come poteva starsene accomodato a conversare in uno studio di registrazione ovunque nel mondo. Era uno sciamano. Tutte le energie le sapeva caricare su di sé e portarle agli altri.

Da quanto tempo non lo sentiva?

Da prima della pandemia. Ultimo ricordo vivido che ho sono alcune conversazioni sulla pittura. Anche lì aveva aperto alla ricerca e poi alla sperimentazione, fino ad arrivare alla realizzazione. Faceva così per tutto.